Padova – Italia
1989 Elegie dominicane
La recente produzione di Antonio Zago appare frutto di una musicalità eccitata, di una fantasia sebbricitante e di umorale opulenza, in cui il mondo figurativo sempre più si stacca da connotazioni realistiche e si spinge verso un’esaltata affabulazione visionaria: scenografie mozzafiato che subito sollecitano l’occhio dello spettatore per vivacità e ricchezza, ma che richiedono anche una lettura attenta per essere colte in tutti gli elementi costitutivi dei percorsi e dei contrappunti segnici, delle pastose vibrazioni di densa materia cromatica. Immediatamente comunicano una emozionata “Joie de vivre”, un irresistibile impulso al movimento, alla danza, alla “consonanza ritmica”, all’immersione panica, all’espansione della sensorialità.
Il carattere di racconto intimo delle immagini in cui si esprimeva la gestualità narrativa di Antonio Zago, con “segni” e figure di una sorta di “archeologia del cuore” come proustiana ricerca del tempo perduto e dell’innocenza mitica, s’innerva in percorso ludico di più radiosa urgenza del gesto cromatico, in ricarica vitalistica, che hanno la loro spiegazione nelle esperienze esaltate di colori, odori, ritmi, umanità, vissute a Santo Domingo. Zago ora abbandona il vincolo della forma e la sintassi del segno per assumere tutta la forza del colore in una dimensione autenticamente ed esclusivamente pittorica, in cui, cioè, il croma è interprete privilegiato del movente poetico. Le pennellate modellano lo spazio come trama di tessuto psichico altamente reattivo, nel quale prendono corpo le istanze di una sensorialità surriscaldata e di un’anima ardentemente visionaria, in un costante dialogo-confronto tra istinto e ragione, mediato con sapienza dal perfetto controllo del mezzo espressivo e di una piena, rotonda gioia di dipingere, di far pittura pittura. Così l’oggettività compositiva risulta determinata dalla struttura densa e da una gestualità capace di modulare la materia cromatica in un susseguirsi di slanci, ritorni, inflessioni, cadenze, tensioni, in cui visioni, memorie, metafore, allusioni essenziali, corposità sensoriali si fondano in una condensazione formale al tempo stesso meditativa e dirompente, traboccante di energia liberatoria e creativa. La plasticità organica della superficie dipinta esalta la sostanziosa pregnanza di un pensiero che si afferma come gioco e simbolo, invenzione semantica e profonda interpretazione, intima partecipazione, orchestrando un ordine soggettivo di valori in una “mise en page” di grande efficacia proiettiva e coinvolgente.
Zago fissa sullo spazio della tela colori forti e caldi come “focolai”, territori di accumulo e di espansione di energia, luogo delle “impronte” della memoria sensoriale, fisica, delle atmosfere sconvolgenti delle Antille. Le forti cromie allagano la tela in un moto ondante che travolge i riferimenti oggettuali: si continuano a intravvedere qua e là forme che già furono oggetti, qualcosa che appartiene alla realtà o, meglio, a una memoria della realtà che riecheggia in riverberazioni grafico-cromatiche di superficie; ma è la fluidità nella ricca e mossa materia nel campo pittorico a dare la misura e il valore della rêverie lirica con cui Zago rievoca, interpreta e rivive il rapporto emotivo-percettivo con la natura, con i frammenti di memoria visiva d’ambiente, di paesaggio, messi a fuoco in rapporto ravvicinato, quasi di riimmersione nella freschezza e frenesia delle impressioni prime.
Il suo, quindi, non è più un “raccontare”, ma un riincontrare e un rivivere; e la dimensione temporale dell’opera non è determinata dal susseguirsi di eventi descritti, di figure, ma si concentra tutta nel campo cromatico come spazio di evocazione, di affioramento, di stupori, di tensioni sensoriali e di emozioni liriche attualizzati nel gesto, nei colpi di pennello e negli sviluppi di colore acrilico intensamente puro.
Questo già ricco ciclo di opere dedicate ai “ricordi dominicani” è ancora, indubbiamente, soprattutto pittura di stati d’animo, di pure emozioni, suscitate dalla sconvolgente esperienza di una natura lussureggiante, quasi intatta nella sua potenza generativa, e di una musica inebriante, avvolgente e coinvolgente, capace di “scorticare” la sensitività, ma le impressioni suscitate dal mondo fenomenico sono diventate ormai puri fatti interni, fantasmi dell’immaginario, trasalimenti dell’anima: pittura, dunque, pervasa da una particolare inquietudine “per simpatia”, fatta esplodere nei rapporti e nelle variazioni timbriche del colore, caricando di qualità tattili, olfattive, sonore, regolando ritmi e pause. A buon diritto, la ricerca di Antonio Zago si inserisce, pertanto, in quel filone dell’astrattismo lirico che oggi ritrova una vitale presenza, da una parte ricollegandosi alle esperienze dell’informale, dall’altra accogliendo alcune delle prepotenti suggestioni di neo-impressionismi internazionali, per riesplorare il rapporto tra conoscenza e coscienza, tra percezione e partecipazione. Al di là delle “violente” sollecitazioni sensoriali e percettive certamente vissute nelle isole delle Antille, al di là del “merenghe”, allegro, incalzante, vivacissimo, che scalda il sangue come la samba o la rumba, solo una grande passione per la vita può sollecitare così intense pulsioni della superficie pastosa dei quadri, conferendo dinamicità singolare all’arabesco visuale.
I tratti sommari dei riferimenti figurali (le maschere, le farfalle, le piante) attestano come all’inizio di tutto c’è stata un’esperienza viva, forte, felice, un’esperienza di colore e di inebriante immersione naturalistica; essi significano altresì che, dopotutto, vi è in Zago una sorta di resistenza a lasciarsi completamente prendere dal piacere del puro canto del colore: vi è infatti nella gamma e negli accostamenti dei verdi, dei blu, dei gialli, dei rossi un che di sapore biologico, di vitalità densa e germinale, di luce tonificante. Ancora una volta è il riferimento a dati d’esistenza a produrre il significato di questi lavori di Zago e a conferire loro effettivi, e continuamente rinnovati valori di naturalità e originalità di indagine dentro i segreti dell’uomo.
Giorgio Segato
1990 Sensi vietati
La pittura di Antonio Zago è esaltazione del gesto che sulla tela, liberando l’energia del colore, evoca fantasmi della sensorialità scorticata, dell’emozione naturalistica più genuina: il gesto pittorico, anzi, letteralmente attraversa i sensi, li fa fremere e li percorre, cancellando il “rumore”, il disturbo di fondo che viene dalle innumerevoli sollecitazioni esterne proprie del mondo del consumo delle cose e delle immagini, e ricollega alla consapevolezza esistenziale la memoria, la storia individuale e quella profonda, collettiva.
L’artista procede per stratificazioni che rende vibratile la materia corposa del colore, evidenziando profondità e percorsi di forte suggestione magico-religiosa, ricchi di affascinanti affioramenti e riferimenti, ora onirici, ora più scopertamente erotici, ora squisitamente simbolici come il grande albero che è chiave interpretativa di una lunga serie di lavori sulla “congiunzione” tra orizzonte e cielo; o il grande occhio che si spalanca sulle cose, o il materializzarsi, leggerissimo tra tanta corposità cromatica, di una policroma farfalla.
La pennellata di Zago ora lascia sulla tela materia densa, che cola e si rapprende in alti spessori, ora scivola magra, asciutta, creando velature e trasparenza che danno consistenza plastica ad apparizioni che insorgono dall’intimo e si affacciano sulla soglia della coscienza come provocazioni sensualissime, allarmanti, scatenanti la fantasia lungo i sentieri di una riconquistata passione esistenziale genuina.
Forse è stata la scoperta della natura rigogliosa e quasi del tutto incontaminata delle isole dei Caraibi a “Svelare” a Zago la straordinaria potenzialità dei sensi e ad accendere il suo desiderio di danza del colore e del segno sulla tela come esplorazione oltre i recinti del “senso” comune, che è ormai livellato dalle imposizioni dei mezzi di comunicazione di massa e dai comportamenti indotti: Zago riscopre la pittura come itinerario che consente di tornare a gustare il “frutto proibito”, di scuotere i sensi abbattendo i divieti delle convenienze e dei compromessi, di esaltarsi di fronte al meraviglioso spettacolo dell’albero che espande la chioma, si carica di frutti colorati e succosi, o di una vegetazione fitta e avvolgente come un abbraccio d’amante. Attraverso i sensi Zago supera la barriera delle apparenza immediate e ricongiunge la coscienza del presente alla memoria, ai sedimenti più fondi dell’esperienza esistenziale: così, dall’est europeo zago ricava ed emergono nella sua pittura suggestioni di icone come ricomporsi dell’immagine del sacro in atmosfere di sentita partecipazione, fatta, insieme, di istinto ed emozione e di intelligenza contemplativa; Dall’occidente ispano-americano assorbe la capacità di immersioni in apnea nel cuore della natura per mezzo di un gesto che è ascolto musicale, partecipazione al ritmo, trasposizione immediata – mai però meccanica – della coscienza di appartenere al creato, di essere “dentro” e tra le cose.
Se, indubbiamente, Pollock è la figura mitica cui Zago fa in larga parte riferimento, la sua azione si discosta dal magistero del grande artista americano perché resta nella sostanza fedele a un’esigenza di rappresentare i dati naturalistici e di porli come irrinunciabile patrimonio della sensibilità e della cultura, della visualità come del pensiero dell’uomo.
Resta, in questo autentico pittore padovano, una spiccata tensione al racconto per immagini che si disvelano dalla materia del colore e dal gesto, ora urgenti e dense di umore, ora acquietate e gaie, ma sempre ricche di gioiosa ed energica vitalità: un racconto che diviene via via più semplice, scandito con forza nel gesto diretto che inventa dialoghi cromatici, movimenti, e tensioni di masse su un orizzonte che instancabilmente evoca il “Calvario” contro cieli mobilissimi e gonfi di presagi.
Giorgio Segato
1991 Il gesto e il colore
L’emozione estetica di Antonio Zago vive tutta nel gesto di stesura cromatica: rapidità, quantità, segno. Ritmo e andamento figurale concorrono a comporre sulla carta racconti di alta tensione narrativa, ricchi di suggestioni e riverberi sensoriali.
Il suo lavoro è un sorprendente, continuo “corpo a corpo” con la pittura e con l’immagine introiettata, con l’esperienza interna dei sensi che urge dentro per farsi forma, linguaggio, comunicazione. Il gesto è ampio, libero, insistito; il colore è saturo, vibrante, denso, ricco di interstizi, di pieghe, di “insinuazioni”; il segno si dipana come rapida istintiva scrittura emozionale, catturando nel colore mondi sonori e sontuosi, visione e memoria di una natura rigogliosa e inesausta, “natura naturans” e “natura naturata”, ricercando e prolungando l’apnea dei sensi nel mare del reale. Certamente hanno influito sulla sua scorticata sensibilità i viaggi nei paesi del Caribe, a Santo Domingo; ma fin dai primi esercizi la sua pittura si è fondata su un particolarissimo “senso del corpo” e sull’esigenza di ricomporre in “quadro” schegge di emozioni epidermiche, tattili, di sensazioni, impulsi, memorie come rivisitazione e restituzione panica della natura, senso di appartenenza. I sensi, però, non sono trappole che catturano e condizionano l’esperienza: Zago ne sa contenere l’urgenza, sa controllare l’istinto e risolvere in visione accesa, ora tutta meridiana ora fonda e notturna, l’emozione esistenziale, ed anche alleggerirla nelle forme aperte e ambigue, nel contrappunto cromatico, nell’invenzione di “segni” araldici, come appunto l’albero, in cui la tensione e la crescita sono accentuate dal capovolgimento delle campiture di colore, trasparente e leggerissimo in basso, denso, notturno, vibrante, “perforato” da bagliori di luce in alto.
Il gesto crea una sorte di nucleo energetico, di matassa di vettori in orbite fitte, centripete, ma che qua e là si aprono in guizzi centrifughi lanciati nello spazio. E’ di questa vitalistica energia che Antonio Zago si fa interprete nelle sue visioni naturalistiche come racconti emozionati ed emozionanti di un magico rapporto dell’artista con l’ambiente, dei sensi con la natura delle cose, dell’uomo con la linfa calda dell’essere.
Giorgio Segato
© 2017 Antonio Zago