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Amable López Meléndez

Santo Domingo – Repubblica Dominicana

Curatore indipendente – vice presidente dell’Associazione Dominicana dei Critici d’Arte

membro dell’Associazione internazionale dei Critici d’Arte

1996  Diario della nebbia di palude.

“Io dico che bisogna essere indovini!”

Rimbaud 1854 – 1891


Quello che dobbiamo segnalare per primo, riguardo alla pittura di Antonio Zago, è a quale corrente appartiene come pittore. È dei visionari, degli indovini, siano essi romantici, espressionisti, informali o minimalisti; si chiamino Caspar David Friedrich, Monet, Klee, Kandinsky, Pollok, De Kooning o Cy Twombly. Per Zago la pittura è allucinazione materializzata. Ogni forma, ogni pennellata, ogni gesto è come un’impronta di fuoco moltiplicata in un processo cromatico dove la materia è fiamma che arde nella bidimensione.

“Devo dipanare le tenebre e dopo incontrare la luce”. Antonio Zago afferma che “nella pazzia c’è qualcosa di serio, che se ben controllata potrebbe moltiplicare il numero dei capolavori”, affermazione con la quale egli si presenta davanti alla psichiatria come il folle della società, come quello che opera alla mercé delle sue forze sconosciute e dei suoi impulsi incontrollabili. Orbene, se per la psicoanalisi l’ inconscio è il corpo liberamente e responsabilmente assunto, per Zago, come per il pazzo della nostra epoca, questo corpo è l’arte stessa; e davanti all’arte come corpo e totalità egli procede con la stessa responsabilità e con la stessa etica con la quale si aggrappa alla libertà, non importano né le motivazioni né l’ incompreso che possono derivare dalle sue creazioni.

Diabolicamente perturbatore e nello stesso tempo appassionato, sereno, inalterabile dietro la rivelazione della bellezza dell’ineffabile, nel miglior senso antipsichiatrico, Zago è una figura insana, un poeta, una mala coscienza alla Rimbaud (l’angelo senza cuore); quei giochi pittorici sono come quelli dei bambini e degli amanti. La linea zigzagante, il gesto, la macchia e gli strati cromatici, siano densi o trasparenti, costituiscono gli elementi strutturali nell’universo visuale della sua pittura. Una pittura di allusioni, più che di riferimenti, poiché in essa si richiama la partecipazione di un tipo di spettatore che vuole aprirsi al piacere, alle delizie della materia e all’inavvertito gioco che propone l’azzardo e la sorpresa.

Ma più in là dello spazio pittorico, dopo aver attraversato l’immagine con lo sguardo e percepito la realtà spirituale dell’artista, Antonio Zago ci si rivela nella sottigliezza della sua poetica come un ludico sovvertitore di stili e dell’ideologia estetica. In questa maniera trattiamo con un artista che transita sopra le impronte del mito, della storia e del tempo, riaffermando la sua attinenza con la spontaneità e il suo accordarsi con il delirio (preziosità dell’assurdo) e con le meraviglie dell’esistenza. Zago assume la creazione come gioco dopo la rivelazione del Misterium, che sta raffermato tra due regni quello del sacro e quello del profano, tra l’essenziale e la quotidianità. In questa poetica la vita viene percepita nella sua pienezza come celebrazione dell’istante, del ritrovamento che si può manifestare nell’ immagine imprevista. Immagine impregnata di segni elementari e di incessanti trasfigurazioni. Questo è ciò che succede nella serie di piccoli formati in tecnica mista su carta che l’artista ha intitolato “Diario della nebbia di palude”. Si tratta di un diario dove testo e immagine aprono la finestra dalla quale possiamo osservare gli argomenti che consumano la sensualità, il proprio sangue, tutto il corpo e l’anima di Zago.

Nel Diario della nebbia di palude ogni immagine ci propone un gioco segreto, silenzioso, piacevole. Sono immagini di piacere. Non importa che l’intensità del grigio e il suo potere evocativo ci trasportino ai laghi avvolti dalla nebbia che ricopre il paesaggio della regione Veneto italiana. La nebbia che copre la palude è appena un semplice riferimento alla semplicità. Il paesaggio opera sensorialmente e appare disegnato come una metafora della materia.

La palude e la nebbia costituiscono il paesaggio che diventa scenario nella Naumachia. Qui Zago è cronista di una battaglia nella quale si scontrano Eros, la memoria, l’ amore, i sogni, le evoluzioni degli istanti susseguenti nella quotidianità.

Nella Naumachia di Zago ora non c’è favola né bestiario, ora non combattono carri anfibi né strani pesci volanti. L’artista si immerge da solo nel tempo e nel gioco della immaginazione per suscitare un repertorio di immagini estremamente suggestive, capaci di farci tremare e di stimolare l’azione del pensiero attorno alle nostre contraddizioni. Però nel Diario della nebbia di palude ora non c’è più immagine. Ci sono affermazioni. Ma al di là del segno di riferimento (erotismo, critica e azione vitale), nell’opera di Zago ci sarebbe da parlare di qualcosa di più irraggiungibile, di un’atmosfera al tempo stesso brumosa e trasparente, cristallina e di una passione romantica dell’artista padovano per il grigio e il nero che contrastano la serenità degli spazi puri. Dovrei parlare anche dei movimenti delle macchie e delle pennellate calde di raffinata accentuazione, più che del gioco di contrasti tra luci e ombre, senza valutare troppo la vibrazione policroma (sebbene conservi un ritmo sostenuto) per ritornare all’incontro della visione, al concreto confronto del ritrovamento visuale come allucinazione, come lo scoppio prodotto da una virata spettacolare che Zago effettua quando svolta verso lo sconosciuto ed estrae immagini essenziali, immagini primordiali, connesse all’atto proprio della sua esecuzione.

E qui l’immagine si trasforma in visione. L’ impatto ci appare come allusioni inaspettate; però se riusciamo a vedere, nel senso gnoseologico (e poetico) della parola “vedere”, includendo l’opzione del “piacere del vedere”, allora potremmo comprovare la presenza di una carica metafisica che apporta ad ogni immagine un parere affermativo capace di far riversare la nostra memoria nel tempo.

Gli oggetti e le sculture minimaliste di Antonio Zago completano questo itinerario della scoperta che si plasma tra il Mediterraneo e i Caraibi. La terra, il mare, gli alberi, il sole e la gente dei Caraibi lo portano a costruire oggetti provocatori che ci ricordano le poetiche del Dada, però quelle di Zago sono così contemporanee che si rivelano atemporali. Assemblando questi oggetti e seguendo la sua tendenza ludica, Zago costruisce un viaggio verso lo spirito della memoria e della storia.

I suoi soggetti tridimensionali evidenziano un incontro con la più indipendente libertà che un artista può evocare nel cammino della creazione. L’oggetto inizia a strutturarsi partendo dal Ready-Made intervenendo attraverso una confabulazione nella quale l’artista disfa le frontiere delle forme compiute per addentrarci in una fantasmagoria dove il frutto secco della palma, manipolato con il legno e il colore, acquistano la configurazione di una antica caravella riscoperta, di un uccello marino, o di una montagna sovversiva. Nell’albero secco che ritorna meraviglia quando gli nascono le ali come foglie multicolori, e che opera come lucida archeologia del Ready-Made, Zago celebra il ritrovamento della bellezza e della libertà, e allo stesso tempo ristabilisce la sua attinenza con la terra riconfermando la condizione naturale dell’ uomo.

Amablé Lopéz Melendez

Santo Domingo 1996

Traduzione dallo spagnolo di Luca Pellegrini


2000   Territorio di fuoco interiore


“… L’essenza della mente è come il cielo:

a volte è oscurata dalle nuvole della riflessione che fluisce.

Allora, il vento delle nostre conoscenze

soffia e allontana le fluttuanti nubi;

senza ostacolo, il fluire della riflessione

è in se stesso l’illuminazione.

L’esperienza è così naturale come la luce del Sole e della Luna;

molto più in là dello spazio e del tempo.”

                                                                                      Milarepa


Nelle sue opere Antonio Zago (1944) crea spazi pittorici nei quali esprime in maniera sublime la sua verità e le sue pulsioni più intime; suoi pieni poteri in quanto creatore di immagini imprevedibili (producendo in loro, in modo continuo, una preziosa abbondanza di misteriose evocazioni) e la sua delicata sensibilità puntualmente ravviva una poetica che sconvolge e ricorda le incontrastabili qualità di una bellezza assoluta. All’interno di queste pitture si distinguono due pezzi intitolati “Miraggi”, nei quali Zago arriva ad esprimere con assoluta semplicità un’autenticità interiore collocata all’estremo grado di attenzione e armonia a fronte dell’Esistenza e della Natura. Sono due oli su tela di cm 150×150, in questi Antonio Zago porta il suo stile sopra i limiti della sintesi e della chiarificazione, raggiungendo anche il punto massimo della sua particolare visione del paesaggio, tuttavia già trasformato, fino agli orizzonti più ”banali” di armonia e pura bellezza. “Miraggio rosa con nuvole” è la manifestazione della bellezza innata, bellezza unica, insondabile come l’incanto dell’inconcluso, quasi impercettibile alla stessa Visione, può anche essere una lama, un fuoco che arde nel mondo interiore dello stesso artista e la cui spontaneità sarà sempre eterna e meravigliosa.

Il disegno di questa pittura è semplice e sintetico: traccia una prospettiva allucinante, un ampio fondo di gamme ocra, traslucide e vibranti, si estende coprendo tutto il piano superiore della superficie bidimensionale. Alcune lievi sfumature in verde azzurro risaltano l’emozione, mentre il bianco della zona inferiore soggiace cristallino evidenziando la sottigliezza del contrasto in una sobria, delicata e raffinata bicromia impulsiva. Così, combinando con forma magistrale le corte pennellate con le macchie e il gesto spontaneo, Antonio Zago riesce con intelligenza arguta, come un sagace veggente, a rappresentare un paesaggio dall’effetto sconcertante, la cui possibilità di essere percepito in pienezza richiede dei sentimenti permanenti, definitivamente aperti e liberi.

“Miraggio rosa con nuvole” è una composizione che a volte si trasforma in un arido deserto purificatore e in altre occasioni appare come una regione galleggiante; un territorio reattivo carico di ricerca, sapienza, inquietudine, allegria e fuoco mistico, il cui splendore della sabbia rossa è tanto intenso che fissandolo per un poco, ne rimaniamo stregati. Nel centro della composizione, Zago introduce il fiore del tulipano rappresentato in maniera naturale e simboleggiando l’innocenza, la presenza del Figlio di Dio tra gli uomini e il mistero dell’atto della moltiplicazione della carne, In questo paesaggio, Antonio Zago accede ad una privilegiata e visionaria affinità sentimentale con la spontaneità che lo porta a coincidere con Nietzsche quando dice: “Si deve essere ancora vicino ai fiori, all’erba, alle farfalle, come il bambino, che non li sovrasta di molto. Noi adulti siamo invece più alti e dobbiamo chinarci fino a loro; io penso che le erbe ci odino quando noi dichiariamo il nostro amore per esse. – Chi vuole essere parte ad ogni cosa buona, talvolta deve saper anche essere piccolo”. (Umano troppo umano. Il viandante e la sua ombra). Egualmente in quest’opera Zago lascia trasparire il rinnovamento meraviglioso della vita e i suoi aspetti più essenziali, allo stesso tempo trasforma con un alto volo concettuale la sua visione pittorica del sacro e del profano. Qua sta, in questo stesso quadro in quelle nuvole bianche, diligentemente eseguite anche nel minimo particolare, che apporta ironica sublimazione e grazia all’immagine paesaggistica senza potersi staccare come le fedeli talpe del codazzo della Befana.

Nel “Miraggio azzurro”, Zago trapassa le proprie certezze della sua immaginazione. Quasi assistiamo alla concretizzazione di una realtà visiva che ha a che vedere con il mistero dell’esistenza. Però la rivelazione di tale mistero contiene solo una possibilità nella poetica di Antonio Zago: seguire le risorse e compiacersi del silenzioso ascolto interiore che lo porta a manifestare  i tormenti di passione e allegria che nascono al di là delle finestre della sua intuizione. In questa poetica l’azzurro è pura Alchimia, sapienza, materializzazione dell’immateriale. Il bianco  sottostà come segno di purezza e realtà trascendentale, mentre il fiore del tulipano nuovamente agisce come metafora della sostanza dotata di spirito. Da là e in altri paesaggi straordinari di questo stesso ciclo i fiori del tulipano vanno trasformandosi in colombe in volo, come se inneggiassero alle meraviglie del cielo, della terra e al mistero della creazione. In queste ultime pitture intuiamo in Zago l’avvicinarsi ad una lenta perfezione nell’indagare nell’intimo della realtà e della sostanza. Da questa attitudine viene la stessa fonte della sua migliore pittura. Si tratta di una consegna totale, di un completo stato di abbandono creativo sostenuto dal continuo esercizio sul fantasticare che le permette di aprire nuove porte di percezione, nuove superfici di affinità con gli esseri e le cose che lo rendono partecipe dei sentimenti, delle sensazioni, delle idee e dei sogni più reconditi dell’essere umano e arrivare a un’armonia con la realtà che la grazia rivelatrice le offre da plasmare con originalità, qualità, momenti e dimensioni della spontaneità mai visti ne rappresentati prima da altri  pittori del suo tempo.

Amablé Lopéz Melendez

Santo Domingo, 2000

Traduzione dallo spagnolo della dott.ssa Flor Aristimuño