Padova – Italia
1982 Ritorno di sogni lontani
Non ci sono sogni al di fuori della nostra vita spirituale: tutti i sogni appartengono alla nostra storia più segreta, sono nella nostra esistenza più profonda, sono la stessa nostra vita.
Sotto le incrostazioni del tempo, oltre l’assurda indifferenza della parabola quotidiana, emergono gli ideali del nostro ineluttabile passato, affiorano gli empiti incontaminati di una integrità che un destino iniquo aveva coperto di oblio. Il sogno è sempre lì, al primo palpito delle tenebre silenziose, pronto a riannodare i fili recisi di perdute memorie, misteriosa sembianza di una luce e di una vicenda lontana negli anni e nello spazio.
Come immerso nella sua magica ambivalenza, il filo della memoria che avvolge le incisioni di Antonio Zago si snoda per i mille rivoli di trascorsi eventi e si addipana, al tempo stesso, nell’evocazione di antiche nostalgie frammiste ai disinganni e agli ideali del presente. Zago possiede in grande misura il dono non comune della poesia, insorgente con viva forza evocatrice nell’attimo in cui tutti gli aspetti e tutte le parvenze del paesaggio naturalistico diventano d’incanto un paesaggio del sentimento. Al filtro della memoria, nella diafana luce di un impercettibile sogno trasfiguratore della realtà, ogni oggetto riannodato nel tempo, ogni presenza ripescata nello spazio si illumina ai raggi trascoloranti di una vissuta emozione interiore. Passato e presente, sogno e realtà si incontrano in una misteriosa plaga senza contorni definiti, si sintonizzano sulle frequenze insondabili di modulazioni liriche e di intimi accordi.
Il paesaggio euganeo terso nella propria atmosfera ammantata di verde e di silenzio; il fiore aperto come bocciolo a racchiudere la solitudine di una cattedrale che emerge quale empito di un raccoglimento religioso; il Sitar indiano emana una melodia misteriosa avvolgente i contorni di una natura amorevolmente evocata e suggerisce il barbaglio luminescente di un orizzonte lontano.
Infiniti sogni che ondeggiano sulle esili ale, carichi di rimembranze di nostalgia di bellezza e d’amore, al pari di una cara immagine di donna pregna di promesse di illusioni e di frutti di vita.
Sandro Marini
2002 Abrazo de las flores
Colui che sogna di giorno conosce più cose di coloro che sognano di notte.
Antonio Zago dipana il mistero di una allucinazione coinvolgente: una allucinazione vigilata dell’occhio che disvela plaghe senza confini e mondi arcani inattesi, un miraggio della percezione che percorre l’alveo incandescente di realtà remote, una sensibilità che spalanca le dimensioni del sogno e che intravede ideali confluenze trasfiguratrici di inusitati ideogrammi della fantasia e della mente.
Ma la legge del giorno non è sorda al richiamo della notte, nel punto in cui i sogni non custodiscono soltanto un non senso, ma mettono in scena un senso ulteriore.
Attraverso una così aperta introspettiva divinatoria, Antonio Zago si rivela anacoreta sospeso nella notte, poeta veggente che percorre il prato della vita lasciando impronte di fuoco: ed ecco che tutte le verità dell’esistenza e della natura, rivendicano le proprie identità, si trasmutano e si ricompattano. E così consideriamo profondamente artistica soltanto quell’opera che, pur attingendo alla natura e alla vita, se ne estrae e le supera.
Come la bellezza, nella sua dimensione felicemente romantica, suggerisce la percezione dell’infinito nel finito, parimenti possiamo affermare, e ne era consapevole lo stesso George Braque, che vi è una sola cosa che acquista valore in arte: è quello che non si può spiegare. Perché devi essere prima caos, se vuoi dare origine a una stella danzante.
Ecco chiaro il mistero della sostanza pittorica di Antonio Zago, con le sue narrazioni fantasmagoriche: essa è materia di colore e di segno che si espande incessantemente e si sfalda, si polverizza e si ricompone in esplosioni di cromie, in rivoli di luce, in trame simboliche, in allegorie ipnotiche e in atmosfere evocative.
I fiori emergenti dai fogli policromi della presente cartella serigrafica si tendono nella propria simbiosi orgasmica con elevata esaltazione sensoriale, si esaltano in un abbraccio di fuoco che li traveste come d’incanto in sideree comete incandescenti. Essi stanno a significare che il mistero dell’amore è inspiegabilmente più grande del mistero della morte: un’arcana potenzialità, nascosta alla ragione e all’esperienza, e che solo un poeta veggente come Lord Byron sapeva suggerire: “Bacio che arriva dall’inizio dei tempi, dove cuore, e anima, e sensi all’unisono si scatenano”.
Fiori pari a sensibili allegorie incantatorie e, con i suoi petali dorati, il rosso fiore di carne dischiuso come Venere sull’onda di un mare schiumoso.
Sospinti da una inopinata regione ancestrale, assistiamo come attoniti, al germinare inatteso del frutto trepidante della rosa ancora fremente al bacio di un rosso sole meridiano.
Seppure in una puntuale aderenza alla tematica prefissata, il soggetto floreale, Antonio Zago si conferma creatore emozionato di filigrane compositive di grande fascino figurale e di libere trame surreali. I pressanti recuperi della memoria e le molteplici reminiscenze oniriche si intrecciano e si amalgamano in itinerari sconfinati di sempre nuovi regni figurativi, ove la realtà e la fantasia, ove la storia e la poesia disgelano le impronte enigmatiche di un mondo ancora sconosciuto alla più parte dei mortali.
In questo suo regno opalescente, egli sembra vivere solitario, come geloso di una quiete scongiurata, quale anacoreta in cerca di una redenzione che lo preservi dalla polvere del logorio quotidiano e che lo immunizzi dal trauma etico di una società alienata. Perché la barca della fragilità umana non s’infranga contro i flutti dell’indifferenza sociale. Antonio Zago rigenera un mondo a dimensioni della propria natura poetica e spirituale, uno spazio attraversato da presenze emblematiche e da parvenze segniche ricche di luce e di mistero di abissi insondabili. Di plaghe di colore, di orizzonti immanenti.
Antonio Zago edifica ogni giorno il proprio rifugio salvifico, in sintonia con un grande della creazione poetica, Lope de Vega: “Vado alla mia solitudine, vengo dalla mia solitudine, perché a me bastano i miei pensieri”.
Sandro Marini
2005 Lucientes
Il termine suggestivo di Lucientes (latino: “lucentes”), scelto per la cartella grafica di Antonio Zago, richiama alla mente una connotazione poetica altrettanto suadente e che si associa spontaneamente come a comparazione: questo secondo termine è l’attributo Florentes.
In tal modo evidenziamo, a livello fantastico e ispirativo, la fascinazione che istintivamente esercita sull’occhio e nella sensibilità dell’osservatore il cosmo figurale dell’artista padovano.
Se la nostra memoria, dinanzi al lirismo di questi scenari fiabeschi, recupera una toponomastica variegata della tradizione artistica e culturale, la scelta idonea a chiarire la identità stilistica del nostro autore appare senza dubbio molto ampia, ma a noi basta citare, anche per la sollecitazione del titolo, l’allegoria drammatica in musica, la rappresentazione di Anima e di Corpo di Emilio de’ Cavalieri, rappresentata nell’anno 1600.
Nell’ambito dell’arte visiva, e in particolare nelle opere della cartella di Antonio Zago, il corpo è oggettivato dalla natura metamorfica e l’anima è prefigurata dalla luce e dal colore. Il corpo quindi è la realtà, è la natura, sono i fiori che possiamo identificare nel termine florentes; l’anima è riconducibile a una ideale trasfigurazione luministica cangiante e multicolore che possiamo percepire con il termine lucientes.
La simbologia sin qui esplicitata riveste tuttavia una funzione esplicativa ed esemplificatrice e non pretende paradigmi definitivi e completi, perché al discorso critico possiamo appena attribuire una mera funzione di stimolo o una incipiente sollecitazione alla comprensione dei valori creativi ed estetici. Le stesse opere di Antonio Zago vanno oltre un semplice riferimento a una realtà contingente, per inoltrarsi in una fantastica rappresentazione che stimola il campo visivo e interiore dell’osservatore, che ne sollecita la facoltà percettiva in un processo metafisico e figurale che trasfigura la materia. In una parola, queste visioni inducono la realtà a simbolo trasfigurato, a tensione emotiva e, nel gioco prospettico dei ritmi spaziali, nell’enfasi cromatica e luministica delle tessiture e delle trame connettive, queste visioni consentono di afferrare il mistero di uno stato d’animo, sostanzialmente, di intravedere un raggio di verità cosmica, un soffio di vita umana.
Se, come suggerisce il poeta Rimbaud, la vera vita è altrove, Antonio Zago pittore si legittima quale anacoreta visionario di un mondo interiore invisibile e quale astronauta temerario di una realtà fenomenologica in trasformazione perenne. E così, dopo ciascun viaggio avventuroso, il pescatore solitario torna ogni volta carico di sogni e di simboli e di impronte fiammeggianti che attingono il mistero che si svela raffigurato quale simultanea totalità di forme e di essenze.
Marino Marini scultore non sosteneva, a ragione, che l’arte è allucinazione perfetta?
E’ così, perché devi essere un caos per dare origine a una stella danzante!
E questa verità inusitata è scaturita dalla intelligenza veggente di un filosofo allucinato come Nietzsche.
Ora comprendiamo l’assillo incessante che sospinge la ricerca figurativa ed estetica di Antonio Zago, mentre esplora le possibilità espressive della materia, mentre scava l’archetipo celato dietro l’astrazione, in un processo di reale e di astratto che si incontrano. Dalla materia al caos esplodente che, genera rinnovate essenze e una nuova vita.
Il ricercatore solitario, l’anacoreta sognatore si inabissa negli spazi sconfinati della materia e dell’universo, nelle plaghe terrifiche di mondi incandescenti per carpire il segreto delle parvenze inconoscibili e, come trasfigurato, torna da questi voli della fantasia e della psiche, ogni volta recando tracce luminescenti e impronte di fuoco: impronte e trame che ripescano, sulle superfici traslucide e nelle narrazioni visive, gli indizi simbolici polivalenti e le tracce ideografiche degli stati di tensione e delle metamorfosi del viaggio avventuroso.
Il fuoco dell’anima eccitata brucia nelle accese tessiture dei rossi, la catarsi rigeneratrice nella pacificazione del ritorno alla vita si stempera in sterminate lontananze degli azzurri.
Sandro Marini
© 2017 Antonio Zago