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Pier Luigi Fantelli

Padova – Italia

1986   Fiori di roccia

LA FORMA

Un quadrato geometricamente corretto non è mai otticamente proporzionato, apparirà sempre un po’ troppo alto alla verticale. Perché acquisti equilibrio, il quadrato dev’essere leggermente ridotto su quest’asse. Nel quadrato poi l’occhio fissa il centro con difficoltà anzi, i due assi quello verticale e quello orizzontale, sembrano passare attraverso il centro senza fermarvisi. Così, nel quadrato – e penso a famosi dipinti come “Il sogno del cavaliere” di Raffaello o la “Resurrezione di Mantegna” – l’immagine oscilla tra orizzontalità e verticalità, ruotando attorno al centro della forma.

Fiori di roccia è un campo quadrato, meglio, un campo rettangolare iscritto in un campo che le zone bianche sopra e sottostanti “quadrano”. Un quadrato ove lasse verticale è marcato dall’albero fiorito e dove il centro non sarebbe ben percepibile se non fosse a sua volta marcato dalla macchia bianco-azzurra che emerge con urgenza dalla tessitura del fondo. Sembra mancare l’asse orizzontale, per cui l’insieme tende a ruotare su sé stesso coinvolgendo i punti di vista, in modo che la visione è simultaneamente da sinistra e da destra, dall’alto e dal basso. E’ un  modo di vedere che ricorda certi procedimenti medievali, quelli con cui si rappresentavano le “Gerusalemmi Celesti” (Civate, San Pietro al Monte) con mura – anch’esse quadrate – viste contemporaneamente da dentro e da fuori, da sotto e da sopra, “esplose” perché l’artista medievale non poteva non considerare che l’osservatore si muoveva, e non poteva quindi avere un unico punto di vista. Lo stesso procedimento, anch’esso giocato sulla forma quadrata, che ritroviamo ancora nel Gotico Internazionale, nello “hortus conclusus” che delimita, racchiude uno spazio, un limite, una sicurezza, quella terra cioè che secondo il simbolismo tradizionale è proprio il quadrato a rappresentare, “il quadrato e congeniale agli artisti che mirino a rappresentare un mondo stabile” (R. Arnheim).

IL CONTENUTO

Non so se nel costruire con la mano sinistra questo suo pezzo di mondo, di terra, Antonio Zago  si sia reso conto di tutto ciò, certo l’intenzione di arrivare ad un effetto di ingenuità, di freschezza ne è stato il motivo generatore, quello stesso che da tempo costituisce il motivo centrale della ricerca dell’artista. L’uso della mano sinistra, gli effetti di tremolio e di infantilità del segno che ne scaturiscono, la dicono lunga sul tentativo – azzerando la memoria della mano – di arrivare a quella sfera dell’espressione – il disegno dei bambini – ove storia, cultura non hanno più ragion d’essere perché sovrastrutture posteriori, inutili per lo stesso artista. Sono già due anni che Zago, superata la stagione di un informale che non nascondeva simpatie prima geometriche poi concettuali, ha imboccato la via di questa ingenuità grafica con la quale tenta un nuovo approccio, un nuovo approfondimento su e intorno a sé stesso. Sappiamo tutti quanto sia difficile conoscerci bene, quanto sia difficile crearci uno strumento che ci permetta di scendere nel nostro profondo, il nucleo della ricerca di Zago sta proprio in questa necessità interiore, e il recupero dell’infanzia, della condizione su cui noi adulti proiettiamo i nostri bisogni di libertà, è la chiave che serve all’artista per arrivare, come lo stesso Zago scrive, al “dato primario dell’Esistenza”. Da qui nasce l’apparente infantilità di Fiori di roccia, e insieme la sua bellezza, da qui nascono le recenti opere pittoriche accentrate sulla fiaba e sul mito popolare (“Racconto Rumeno”, la serie sui bimbi e sulle formiche ecc.). Semplificazione formale da un lato – l’uso del quadrato è secondo Arnheim espressione di “una certa tendenza a superare il senso del peso negli artefatti della nostra cultura”, e si guardi come è leggero e aereo il prato di Zago – e semplificazione dei contenuti attraverso l’azzeramento del soggetto – il titolo infondo è un mero pretesto naturalistico – per recuperare, come ancora scrive Zago, “la profondità dell’Essere”.

“Se si vuol rintracciare nelle immagini artistiche il pensiero visuale – dice ancora Arnheim – si devono cercare forme e relazioni ben strutturate, che caratterizzino i concetti e le loro applicazioni”, quanto appunto avviene nel disegno dei bambini, e quanto va facendo Antonio Zago. Fiori di roccia rappresenta il punto d’equilibrio di questa fase dell’artista. Ove l’intima coerenza tra intuizione formale e urgenza espressiva ci permette di comprendere appieno la chiarezza del suo pensiero visivo.

Pier Luigi Fantelli